Troppi protagonismi e poca concretezza
Questi giorni di gelo mattutino portano con sé uno strano ovattamento dei problemi e delle sfide che il nostro territorio deve affrontare. La brina che ci circonda sembra coprire in un colpo solo oltre le cose e le coscienze. Eppure un tempo non era così. Ognuno di noi cercava risposte alle difficoltà del vivere quotidiano e poi riusciva a trasmettere le proprie convinzioni in quelle degli altri, in una sorta di catena capace di legare, con punti di vista anche diversi, ogni sentire individuale in un percorso collettivo.
Oggi sentiamo affievolirsi e svanire questo modo di agire che tiene conto dell’altro, che fa della libertà individuale la strada per arrivare alla libertà di tutti.
Illustri economisti ed istituzioni internazionali hanno ricostruito le origini, i processi e le responsabilità della crisi: essa è destinata purtroppo ancora a pesare sul nostro futuro e soprattutto su quello delle nuove generazioni. In questo la crisi che stiamo attraversando è anche crisi morale e di valori. Qui sta forse l’elemento più sottovalutato e che invece rappresenta una suggestione rilevante dei problemi che abbiamo davanti, una società che non vive più il valore aggregante del lavoro è una società chiusa in se stessa senza identità collettiva.
Allora, forse è giunto il momento in cui si dovrà affrontare il tema dello sviluppo che dovrà generare occupazione di qualità. Forse il sistema politico e sociale nel suo insieme dovrà compiere una riflessione profonda su come superare la crisi, guardando oltre le difficoltà odierne e pensando al bene di questo territorio.
Sostenere le imprese significa sostenere il lavoro, sostenere il lavoro significa occuparsi delle persone, pensare al loro futuro.
Oggi viviamo un tempo fatto di troppi individualismi. Ognuno ha la sua ricetta che risponde alle proprie esigenze. Si pensa quasi esclusivamente a come mantenere un pezzo del proprio consenso politico o sociale perdendo di vista il senso e il bene comune. Non è questa la strada.
Invece, alle Istituzioni chiediamo di fare le Istituzioni, ai partiti chiediamo di tornare ad essere punti di riferimento riconosciuti, al sindacato di fare gli interessi del lavoratori, alle imprese di fare le imprese, al Vescovo di promuovere azioni di contrasto alla disgregazione sociale.
Protagonismi eccessivi, infatti, possono essere il mezzo per un avanzamento personale, ma non sono utili a ciò che ognuno, nel proprio ruolo, è chiamato ora a promuovere: un nuovo protagonismo territoriale.
Tutti tentano di fare da sé, non riconoscendo negli altri soggetti dei portatori di rappresentanza e di idee. Ci sono i Comuni della nostra provincia, che sono chiusi nelle loro discussioni di bilancio senza che le scelte da prendere diventino patrimonio comune; le multinazionali che vogliono chiudere e altre che invece guardano oltre la crisi; le imprese che “tirano a campare” e quelle che invece fanno della competizione qualitativa il loro elemento di eccellenza. Ci sono le associazioni del terziario e del commercio che vedono nelle aperture festive la risposta a tutti i mali; ci sono i sindacati che firmano, giustamente, in ogni settore accordi sull’utilizzo della cassa integrazione e pezzi di Istituzioni che si riuniscono per dire alle Istituzioni – cioè a loro stessi – cosa bisogna fare. Poi c’è il Vescovo che propone un pellegrinaggio per il lavoro. Ma ci permettiamo di chiedere: c’è qualcuno che si sta domandando dove si va? Si può provare a ragionare tutti insieme su come si ricostruisce coesione sociale? O preferiamo mantenere il dibattito incentrato su San Benedetto e San Francesco? Come se questa fosse una priorità per risolvere i problemi delle persone e le difficoltà delle famiglie.
Credo che a tutti noi sia richiesto ora uno scatto, per tornare ad essere una città viva, orgogliosa e capace di superare la dimensione individuale a favore dell’interesse comune.
29 gennaio 2011Lucia Rossi Segretaria generale Cgil Terni